Da un giorno all’altro il Dì per Dì, catena di supermercati che deteneva l’egemonia nel centro storico di Genova, ha cambiato colore e preso un nome francese: ora si chiama Carrefour, ma poco altro cambia, resta un supermercato.
Tre ragazze, precarie e aiuto cuoco al ristorante Besame Mucho, rappresentano cameriere, studentesse fuori sede o aspiranti casalinghe in cerca delle soluzioni alimentari più ecologiche etiche e sane possibili, sballottate da una raccolta punti a una bottega solidale, in un reticolo di commerci equi, gruppi di acquisto, smania di premi fedeltà e interminabili code alle casse. Come scegliere cosa mangiare? Nessuno lo sa, veramente. Maneggiando stoviglie riproducono i suoni della memoria: il rumore della mamma che gratta il pane, lo sfrigolìo del soffritto, i rumori del masticare, del deglutire, del digerire, il ronzìo dell’esistenza che non ci abbandona mai. In scena si gratta, si mescola e si canta. In un angolo un microfono resta acceso a evidenziare i loro pensieri, le regole, i sogni e le incertezze.

– Selezione Play With Food III 2012 (Torino)
– Vincitore del concorso Teatro Pianeta 2012 (Siena)
– Finalista Premio Scintille 2012 (Asti)

Note di regia

Ragazze in scena tra pentole e padelle rappresentano i conflitti e le insidie del cibo nell’era del biologico. Uno spignattare di fondo partecipa alla discussione sull’esistenza, dove il cibo è necessità. Giorno per giorno.

Il Gruppo di Teatro Campestre porta in scena tre ragazze, fornite di un armamentario di oggetti da cucina. Tra pentole, scodelle e cucchiai trascorrono i giorni di questa nuova era di conflitto tra biologico e non-biologico, sano e poco-sano. Non c’è cibo in quelle pentole, ma le conversazioni ruotano intorno a “Il cibo” e “la spesa”. Il cibo detta legge sulla vita del nostro corpo. La preoccupazione per un’alimentazione sana è una delle sindromi ricorrenti di molti, oggi. Un modo per allontanare la propria fine, e il rischio di malattie mortali, dolorose, che arrivano inaspettate e incontrollabili. È così che sono queste tre ragazze, cameriere, studentesse fuori sede o aspiranti casalinghe che siano: preoccupate, senza tregua, in cerca delle soluzioni alimentari più ecologiche etiche e sane possibili, sballottate da una raccolta punti a una bottega solidale, in un reticolo di commerci equi, gruppi di acquisto, smania di premi fedeltà e interminabili code alle casse. Come scegliere cosa mangiare? Nessuno lo sa, veramente. Il cibo è anche una questione di soldi: il benessere dipende da quello che mangiamo, che dipende dai soldi che possediamo. I soldi, dal lavoro. Inutile cercare di evitare il discorso, quello del lavoro è un tema che è stato già affrontato in un “Un fischio, samba, morte” e torna in “Ci vediamo al Dì per Dì”, sotto altri punti di vista. I soldi e la salute sono le due cose che l’uomo comune si augura di avere più di tutto il resto. Oltre alla riflessione, ancora ironica e acuta, sulle abitudini alimentari e consumistiche della sua generazione, Il GTC approfondisce il rapporto tra donne e cucina. Nell’immaginario le donne restano le detentrici dell’economia domestica? Forse no, a meno che non siano cameriere in qualche locale da aperitivi. Per questo risultano così buffe tra pentole e padelle. Parallelamente agli aspetti di osservazione sociale, il progetto prevede un approfondimento sul suono, prodotto in questo caso dal manipolare oggetti di uso comune. In questo, il GTC si avvale della collaborazione di musicisti e tecnici del suono, come Michele Bernabei e Fabio Bonelli in arte Musica da cucina, soggetto ideale per curare l’aspetto acustico dello spettacolo. La rumoristica che viene prodotta in scena vuole rimanere legata ai gesti quotidiani e allo stesso tempo farsi mezzo di espressione di sensazioni fondamentali nella resa di argomenti così complessi. Il maneggiare stoviglie e pentole vuole riprodurre una stratificazione legata alla nostra memoria temporale. Il rumore della mamma che gratta il pane, lo sfrigolio del soffritto, le stoviglie contro i piatti. I rumori del cibo, il masticare, il deglutire, il digerire sono il ronzio dell’esistenza che non ci abbandona mai. Il rumore è la rappresentazione più concreta dell’astratto (la velocità, la noia, la paura). In scena si gratta, si mescola e di canta. In un angolo un microfono resta acceso a evidenziare i pensieri, le regole, i sogni e le stigmatizzazioni di tre donne. L’atmosfera da creare è quella di una città piovosa, immersa nella pesantezza di un mese di passaggio, come novembre o febbraio, quando l’anno nuovo è partito, il Natale è passato, l’inverno no. E con la città si riproduce la giornata di lavoro, l’attesa dell’autobus sotto la pioggia, la provincia. L’immagine delle tre ragazze con il cappuccio alzato sta a rappresentare il freddo, la stanchezza e la noia quotidiana, che contrasta con l’immagine della donna modello, quella dei ricordi d’infanzia, legata invece alla dolcezza e alla quiete.

Temi e approfondimenti del Gruppo di Teatro Campestre Il Gruppo di Teatro Campestre riflette sulla realtà e i cambiamenti socio-antropologici attraverso l’osservazione della vita quotidiana; l’ironia è parte integrante di ogni progetto, così come la collaborazione con amici e artisti di varia provenienza (videomaker, fotografi, musicisti). Tre sono gli elementi che il Gtc ha cominciato ad esplorare nella sua storia e che torna ad approfondire con “Ci vediamo al di per di”: -Il tema del cibo: nel suo primo spettacolo “Un fischio, samba, morte” l’alimentazione veniva osservata da uno dei tre protagonisti (Luca Agricola) come da un lato sinonimo di vita sana, e di conseguenza, di vita, dall’altro come vizio, tensione costante al superfluo, al mortifero. -Le possibilità espressive del suono e della ritmica: in “L’orso, una versione caotica” (2008), seconda performance del Gruppo di Teatro Campestre su “L’orso” di Cechov, il trio allora composto da Elisabetta Granara, Chiara Valdambrini e Michele Bernabei sfruttava oggetti di uso comune per la creazione di ritmiche e frastuoni venuti a rompere la luttuosa quiete domestica della Popova; -Il contatto con la musica: nel giugno 2011 Il GTC ha inciso “Muoio ma vivo. Audiolettere di condannati a morte della Resistenza”, in cui Giacomo Lepri ha curato il sound design. Per il progetto, il musicista ha messo in pratica i suoi studi sul suono del paesaggio. Nel novembre 2011 Elisabetta Granara con Roberta Testino approfondisce tramite un laboratorio pratico il lavoro di Enrico Malatesta, che da anni affronta e sperimenta il suono come paesaggio sonoro.

CIVEDIAMOALDìPERDì di Elisabetta Granara, Chiara Valdambrini, Roberta Testino – con Elisabetta Granara, Elisa Occhini, Sara Allevi – regia Elisabetta Granara – assistenza alla regia Chiara Valdambrini – scenografia e costumi Elisabetta Granara, Chiara Valdambrini – luci e supervisione tecnica Carlo Cicero – consulenza tecnica musicale Fabio Bonelli – musiche Musica da cucina – foto Jan Papas, Studio Cairoli 8
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