Portare in scena Beckett come ricerca di un teatro nuovo e diverso, partendo da un testo così intenso e profondo quale è Finale di partita nel tentativo di superare la confusione generata dalle molteplici contaminazioni, così spesso prive di motivazione artistica. Beckett oggi come sinonimo di vivere e percepire l’esistenza, così attuale e vicino da faticare ancora a capirlo e a sentirlo affine; si è pertanto fatto perno su un’ interpretazione rigorosa ed essenziale, senza quegli artifici e lazzi, degni eredi della Commedia dell’Arte e caratteristici di gran parte del nostro teatro, ma anche lontani dallo scrittore irlandese e dalla sua visione del mondo. Un allestimento a tratti forse più cinematografico, ambientato in uno spazio ridotto che unisce pubblico e attori: la stanza di Hamm, Clov, Nell e Nagg diventa la “nostra” stanza e l’ambiente quotidiano. Uno specchio continuo in cui tutti ci si riflette e che è anche elemento scenico, parte di una scenografia a sua volta scarna e essenziale, ma di forte impatto emotivo. I personaggi si muovono in una situazione in cui assume rilievo solo l’essenzialità dell’essere umano, privato della maschera.

La storia e il progetto scenografico

La storia Protagonisti di questo atto unico sono Hamm, cieco e condannato a trascorrere i suoi  giorni su una sedia a rotelle e Clov, il suo servo, forse suo figlio adottivo.  I due  hanno un rapporto conflittuale, in cui si consumano litigi ma anche una reciproca dipendenza. Clov vive nell’eterna tentazione di andarsene ma pare non esserne capace, in quanto lui stesso cammina con difficoltà. In scena anche gli anziani genitori di Hamm: Nagg e Nell, entrambi privi degli arti inferiori, costretti a trascorrere la loro esistenza in due bidoni della spazzatura; tra di loro è un incantevole dialogo d’amore in cui i ricordi del passato si mescolano al disagio del presente. Filo conduttore del testo è l’incalzante botta e risposta tra Hamm e Clov, che sono legati, organicamente, da una specie di tenerezza che si esprime con molto odio, sarcasmo e soprattutto come gioco. Infatti essi giocano sulla scena come una partita a scacchi e marcano dei punti, uno dopo l’altro, ma colui che può muoversi ha forse maggiore possibilità di cavarsela. “Hamm è il re in questa partita a scacchi persa sin dall’inizio. Nel finale fa delle mosse senza senso che soltanto un cattivo giocatore farebbe. Un bravo giocatore avrebbe già rinunciato da tempo. Sta soltanto cercando di rinviare l’inevitabile fine.” Il filo è questa specie di gioco che Hamm e Clov portano avanti e che termina in un modo ambiguo, perché la suspence derisoria della pièce è se il figlio Clov al termine partirà o meno. E questo non si sa fino alla fine. Una pièce a tratti comica, che si rivela attraverso l’esplosione di un linguaggio molto quotidiano, dove ogni cosa è contemporaneamente comica e tragica. “Non c’è niente di più comico dell’infelicità”dice Nell; in una società che ha smarrito la fede in Dio e che comunque continua a cercarlo l’assurdità dell’esistenza rivela una profonda verità: l’aspetto tragico e quello comico si fondono insieme.

Il Progetto scenografico Lo Spazio Scenico, prestabilito, circoscritto, è stato interpretato nella sua più rigorosa essenza: un “luogo-non luogo” in cui i personaggi “giocano” (ovvero recitano) e vivono (muoiono) una partita lunga quanto l’esistenza, tra commedia e tragedia. Lo spazio è meta-fisico, meta-storico, volutamente incorruttibile, lineare, composto, pulito. I personaggi ed i loro oggetti, par contre, sono irreversibilmente lisi, perdenti, decomposti. Questa tagliente contrapposizione si rivela la chiave del progetto scenografico, nel tentativo di rappresentare uno stato di coscienza universale: la consapevolezza di fronte alla cruda realtà di un’esistenza il cui senso non è possibile decifrare o riconoscere.Lo spazio è quindi immutabile mentre l’uomo (con la “sua roba”) invecchia in una disperata corsa verso il nulla.

FINALE DI PARTITA di Samuel Beckett – con Livia Carli, Paola Carli, Gianni Oliveri, Sergio Raimondo – scenografie Sergio Raimondo – costumi: Giovanna Faraone – regia Livia Carli e Gianni Oliveri – produzione Lo Spazio Vuoto
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